domenica 14 febbraio 2010

MEMORIE SPORTIVE



Ultimamente, con questa storia degli italiani mi capita spesso che mi domandino da quanto tempo pedalo. E quando rispondo "circa quattro anni", rimangono stupefatti. In effetti sono stati quattro anni intensi, un amore di quelli folgoranti, scoperto un sabato mattina, quando mio fratello mi propose un tranquillo giretto in mtb per la campagna circostante. Quella mattina ci andò abbastanza delicato, niente salite astruse o difficoltà particolari. Due giorni dopo andai io da lui "lo rifacciamo?". E Roberto mi portò alla Pitocca. Se alla vostra uscita in mtb andate alla Pitocca e tornate vivi e siete pure felici, allora avete trovato il vostro sport. Per questo quando ho un giorno no, pedalo fino alla fantomatica casa rossa, salita test e luogo di meditazione di ogni biker che il mattino beve un caffè dalla Donella de Sorca. Ma tutto questo non accade per caso. Forse è il destino o forse il caso, ma prima di arrivare con le chiappe sopra una sella ne è passato di tempo e in 25 anni di vita, di sport ne ho provati diversi. Molte voglie passeggere, tanti flirt, tante passioni momentanee.
Quando avevo cinque o sei anni per Natale mio padre mi regalò una moto (vedi foto).

Non è che avessi mai manifestato gran desiderio per i motori, ma in famiglia è sempre stata una tradizione e così hanno provato pure con me. Il primo minuto che mi ci sedetti sopra, accelerando sbattei subito contro un muro. Poi qualcuno ebbe premura di spiegarmi che esistono i freni. E' stato deleterio, da allora ne abuso fin troppo, soprattutto in discesa. Come potete notare in foto, a casa avevano pure il tempo di organizzare le gimkane e mio fratello era proprio un funambolo (vedi foto).

Tanto funambolo che una mattina rimase bloccato in fondo ad una scarpata: mia madre andò a recuperarlo con la panda ed una corda da traino. Smessa la moto passarono anni e anni e con essi passavo per tentativi da un'attività all'altra: i rollerblade durarono tre mesi, oltre al fatto che erano di sottomarca e provocavano i crampi alla pianta del piede, altro deficit era il fondo stradale di una frazione come la mia, dove ogni buca all'asfalto ha un nome proprio. Durante le scuole medie venne il momento del classico gioco di squadra: la pallavolo. E voi tutti sapete che sono alta, come si suol dire, "un cazzo e un barattolo", eppure non ero male, se come metro di paragone prendiamo le altre compagne di squadra. Potete immaginare di che levatura fosse la formazione. Quando giocavamo si metteva a ridere pure l'arbitro e alla fine di ogni allenamento il coach ci regalava un kinder cereali. E all'epoca io ero circa 20kili più di ora. Durante tutto il campionato si vagava tra Perugia, Pierantonio, San Sisto, e mio fratello ci accompagnava sempre. Solo ora ho compreso che faceva questo sforzo solo per una questione ormonale: a 20 anni portarsi in auto delle 14enni dovrebbe essere interessante. Ah dimenticavo: io ero il capitano di questa stupenda squadra. Con le superiori decisi di darci un taglio con la carriera da pallavolista per dedicarmi alla mia cultura: mi dedicai al pianoforte. Tre anni di pianoforte non mi hanno portato alla filarmonica del santa cecilia, ma solo a buttar via 50 euro al mese. All'inizio studiavo abbastanza, poi col motorino e le amiche con la patente mi riducevo a studiare la lezione un'ora prima che arrivasse il maestro. Era una pena assurda. A 16 anni, non facevo proprio niente se non andare in giro o iscrivermi in palestra ogni tanto per andarci giusto due volte e poi smettere. Intanto ero 30 kili più di adesso. E poi con l'avvento dell'ormai sbandierato Morbo di Crohn iniziai mano a mano a dimagrire e a ritrovar la voglia di mettermi in moto. Dovendo ingurgitare dosi sproporzionate di cortisone in qualche modo bisognava tenersi attivi altrimenti si rischiava lo sclero totale. Andavo a correre a piedi, ma era una noia. Allora col mio fidanzato inizia a fare Kickboxing (vedi foto).

Come terapia di coppia non c'è storia. Non c'era bisogno di litigare, ci prendevamo a pugni direttamente lì. Però le zampate al colon non erano divertenti. Bisognava trovare qualcosa di alternativo. Il mio medico di allora mi disse che "dovevo rassegnarmi alla malattia". Non la presi bene quella frase. Prima di tutto lui non mi vide più. Ed ecco la proposta di Roberto. Vieni in bici. E da allora non son più scesa. E da allora è tutta un'altra storia. Alla faccia di tutti quelli che vi dicono che "dovete rassegnarvi". Forse dentro una bara potrò pure rassegnarmi, per ora si guarda avanti e si punta un obiettivo. Qualsiasi esso sia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

W the woman champ
mi sono commosso
er ceccovolante