venerdì 25 marzo 2011

RIFLESSIONI




Fedelissimi lettori, dopo una discreta assenza dal web data da una concomitanza di eventi quali interruzione della linea adsl e quattro giorni trascorsi in Provenza si torna finalmente a pedalare al sole. In Costa Azzurra per visita parenti ho portato con me il biciclo, ma noi figli di boschi e carrareccie siamo come animali in gabbia relegati in mezzo al traffico cittadino. Non è cosa semplice allenarsi su un asfalto a quattro corsie con suv e compagnia cantante che ti fanno pelo e contropelo. Ma il regalo più bello è tornare a casa e scoprire che la primavera sta arrivando per davvero. Arriva ogni anno, eppure ogni volta ti lascia senza fiato e regala una nuova linfa vitale carica di voglie: tornare alle gare, allenarsi con l'idea di non voler più tornare fino a buio, ridere con gli amici e sfottersi dentro ad un bosco che riprende colore. Succede ogni anno, e per chi come noi vive la meteorologia molto più intensamente degli anziani che vanno al mercato e attaccano bottone solo con la scusante del piove o non piove, ogni volta è una rivoluzione meravigliosa e mistica. E' una sensazione atavica il tornare a sudare e godere di una mutazione repentina che ci dà la misura di quanto sia viva e vitale la realtà che ci accerchia.


Mi pervade una confusione, simile a quella confusione che sperimentiamo quando siamo tra sonno e veglia e ci par di cadere. Dicono che quella paura ricorrente di cadere sia un retaggio antico appartenente alla memoria ancestrale che i nostri antenati arboricoli avevano di cadere dalle grandi altezze. E gli uomini provengono da quelli che riuscirono ad afferrarsi ad un ramo prima di schiantarsi a terra, gli altri discesero, questo sì, ma non lasciarono discendenza. Noi, invece che ad un ramo ci afferriamo ad una bicicletta che ci restituisce l'immagine nitida di quello che siamo quando veniamo denudati della nostra modernità e il riflesso che scrutiamo a volte ci appaga e altre ci spaventa. Un giorno ci sentiamo forti e il giorno dopo vorremmo molto di più. E' umano sentirsi smarriti, ma il ciclista è essere sovrumano e di questa dimensione di solitudine si nutre perchè conosce se stesso meglio di chiunque altro e può fare affidamento solamente sulla macchina perfetta che lo porta: il suo corpo e il proprio spirito. La bicicletta è altra faccenda: il carbonio si cretta e le catene si smagliano. Questo è argomento meno filosofico sul quale preferisco soprassedere e consiglio eventualmente di rivolgersi ad un tizio ricciolino, che abita in via Mearelli, in villetta a schiera. Bussate alla porta del garage dalle 18.30 in poi: mio fratello ringrazia!

1 commento:

Tony ha detto...

Per un'attimo mi hai rapito nel raccontar di bosco e primavera, di biciclo e sensazion che ti pervadono, e poi...... mi finisci nel garage del Peru-mecca-tuttofare... eh,noooo non va bene!!!