Giorno 4
Le notti in ospedale dicono siano tutte uguali: solitamente noiose. Esistono le eccezioni. Capita che un frastuono immenso rompa il silenzio portandosi dietro un rumore metallico che rimbomba per tutto il corridoio. Tanti occhi curiosi sbucano dalle camere. Anche la mia testa fa capolino. Un pezzo di soffitto è crollato portandosi dietro un metro di neon che ci stava attaccato. Il medico che era passato lì sotto tre secondi prima deve esser corso a cambiarsi le mutande e di seguito aver fatto un pellegrinaggio a Santiago de Compostela rendendo grazie per la provvidenziale salvezza. Di rimando succede, oltre al trambusto di telefoni che squillano e tecnici che vanno interpellati, che gli infermieri tutti si incazzano come delle bisce, minacciando di scioperare a causa delle mancate norme di sicurezza. Mentre questi moderni luddisti si adoperano in manovre sindacali, i campanelli delle camere suonano come ogni notte ma le padelle vanno molto a rilento. Il risultato è sgradevole per tutti, soprattutto per me che in camera ho la mia vecchietta scacazzante pazza che continua ad espellere la sua cena indo-cinese ogni due o tre ore e un fetore immondo mi impedisce di chiudere almeno mezzo occhio. Oltre alla bega del soffitto si aggiunge un ricovero d’urgenza. Un tizio affetto da epatotossicità grave ci ninna per tutta la notte. In questa fase della malattia il degente inizia a sbarellare di brutto poiché le tossine arrivano al cervello: diventa la sagra dell’imprecazione e della bestemmia. Della serie “Ma come caxxo me lo hai messo quest’ago brutto imbecille culaxx…” e così via. Non è uno scherzo, diventano dei cani sciolti. La mattina, mentre attendo la chiamata per il mio esame ho modo di parlare col dottore e l’infermiera. Parlano di dimettermi lunedì. Pazzi. Mi adopero dunque nell’inscenare una simpatica commedia inventando che ho la nonna in fin di vita all’ospedale. Cosa vera a metà visto che è tornata ieri a casa dall’ospedale, ma viva e vegeta. Comunque se la bevono, complice qualche lacrimuccia gratuita e mi promettono di fare il possibile. Dopo un po’ torna l’infermiera che senza tanti parole sul di più mi infila un aghetto in un braccio. “Questo è il test della Mantù, fallo controllare tra 72 ore!”. E io rispondo “Ok, allora tanto ci siamo vogliamo controllare questo sul braccio sinistro che mi hanno fatto ieri?” e lei resta di merda “Ah, te l’avevano già fatto!”. Benissimo, sappiate che se ho un doppio negativo alla mantù la tubercolosi non ce l’ho al mille per mille. Che matti! Vado a fare la mia bella endoscopia. In sala domando subito “Chi è l’addetto al doping? Tu? Bene, drogami pesante, è un ricordo che non voglio serbare!”. Riapro gli occhi e in effetti qua di robba bona ne hanno. Buio totale. Risultato: come mi aspettavo: colon edematoso, ulcerato, iperemico con ulcerazioni aftoidi, alcune profonde (che culo) e sub stenosi del sigma(ancor più culo). Ma ribadisco, è il mio colon e io e lui ci conosciamo da una vita: ci fa di comportarsi così. Però il doc mi ridà il sorriso quando parla di dimettermi subito nel pomeriggio. I fuochi d’artificio dentro il cervello. Rientro in camera, c’è mia madre, l’avverto della dimissione, le domando cinque biscotti, son due giorni che non mangio. Mangio, mi vesto. Prendo la lettera di dimissioni e ciao a tutti. In macchina i biscotti si ripropongono, cerco di ignorarli e dormo per tutto il tragitto.
Le notti in ospedale dicono siano tutte uguali: solitamente noiose. Esistono le eccezioni. Capita che un frastuono immenso rompa il silenzio portandosi dietro un rumore metallico che rimbomba per tutto il corridoio. Tanti occhi curiosi sbucano dalle camere. Anche la mia testa fa capolino. Un pezzo di soffitto è crollato portandosi dietro un metro di neon che ci stava attaccato. Il medico che era passato lì sotto tre secondi prima deve esser corso a cambiarsi le mutande e di seguito aver fatto un pellegrinaggio a Santiago de Compostela rendendo grazie per la provvidenziale salvezza. Di rimando succede, oltre al trambusto di telefoni che squillano e tecnici che vanno interpellati, che gli infermieri tutti si incazzano come delle bisce, minacciando di scioperare a causa delle mancate norme di sicurezza. Mentre questi moderni luddisti si adoperano in manovre sindacali, i campanelli delle camere suonano come ogni notte ma le padelle vanno molto a rilento. Il risultato è sgradevole per tutti, soprattutto per me che in camera ho la mia vecchietta scacazzante pazza che continua ad espellere la sua cena indo-cinese ogni due o tre ore e un fetore immondo mi impedisce di chiudere almeno mezzo occhio. Oltre alla bega del soffitto si aggiunge un ricovero d’urgenza. Un tizio affetto da epatotossicità grave ci ninna per tutta la notte. In questa fase della malattia il degente inizia a sbarellare di brutto poiché le tossine arrivano al cervello: diventa la sagra dell’imprecazione e della bestemmia. Della serie “Ma come caxxo me lo hai messo quest’ago brutto imbecille culaxx…” e così via. Non è uno scherzo, diventano dei cani sciolti. La mattina, mentre attendo la chiamata per il mio esame ho modo di parlare col dottore e l’infermiera. Parlano di dimettermi lunedì. Pazzi. Mi adopero dunque nell’inscenare una simpatica commedia inventando che ho la nonna in fin di vita all’ospedale. Cosa vera a metà visto che è tornata ieri a casa dall’ospedale, ma viva e vegeta. Comunque se la bevono, complice qualche lacrimuccia gratuita e mi promettono di fare il possibile. Dopo un po’ torna l’infermiera che senza tanti parole sul di più mi infila un aghetto in un braccio. “Questo è il test della Mantù, fallo controllare tra 72 ore!”. E io rispondo “Ok, allora tanto ci siamo vogliamo controllare questo sul braccio sinistro che mi hanno fatto ieri?” e lei resta di merda “Ah, te l’avevano già fatto!”. Benissimo, sappiate che se ho un doppio negativo alla mantù la tubercolosi non ce l’ho al mille per mille. Che matti! Vado a fare la mia bella endoscopia. In sala domando subito “Chi è l’addetto al doping? Tu? Bene, drogami pesante, è un ricordo che non voglio serbare!”. Riapro gli occhi e in effetti qua di robba bona ne hanno. Buio totale. Risultato: come mi aspettavo: colon edematoso, ulcerato, iperemico con ulcerazioni aftoidi, alcune profonde (che culo) e sub stenosi del sigma(ancor più culo). Ma ribadisco, è il mio colon e io e lui ci conosciamo da una vita: ci fa di comportarsi così. Però il doc mi ridà il sorriso quando parla di dimettermi subito nel pomeriggio. I fuochi d’artificio dentro il cervello. Rientro in camera, c’è mia madre, l’avverto della dimissione, le domando cinque biscotti, son due giorni che non mangio. Mangio, mi vesto. Prendo la lettera di dimissioni e ciao a tutti. In macchina i biscotti si ripropongono, cerco di ignorarli e dormo per tutto il tragitto.
Torno in casa, i biscotti finiscono nel water. Però sono a casa. C'è già il mio micione che mi aspetta sul divano. Per ora non abbiamo risolto un bel niente, aspetto di far la risonanza, incrociando le dita che tutta vada bene (ma non ci speriamo troppo), e se va bene si va di megapunturone sulla pancia con un attrezzo tutto moderno con una droghina dentro che ti passano solo alla farmacia ospedaliera e che dice che poi fa andare più forte di Armstrong (no, l’ultima parte non è vera…
2 commenti:
mauro: a me sembra o un defribrillatore o un gonfietto portatile per ciclisti sfigati. Veramente sembra anche un'altra cosa... ma qui solo la fantasia femminile può capire!
io di persone che si chiamano mauro ne conosco molte, ma quando leggo un commento così non ho bisogno del cognome per capire di chi si tratta. poi ti dirò quanti pensieri sessuali avrò fatto dopo essermi bucata tre volte al giorno per una settimana! un bacio. venerdì ti distruggo!
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