sabato 29 dicembre 2007

I DILEMMI DELL'ATLETA

Essere dei grandi campioni non è cosa da poco. Il logorio psicologico è elevato e neppure i migliori vengono esentati dalla pressione emotiva esercitata dalle festività di questo periodo.

Chi di solito lavora trova finalmente la possibilità di allenarsi in maniera regolare tutti i giorni, di godersi un'uscita assieme agli amici di sempre, di non dover immolare ogni domenica alla gara di turno. Nonostante il momento appaia edulcorato di un ottimismo all'ennesima potenza, il rovescio della medaglia si svela in un giro di pedali.

Improvvisamente tutti quegli amici che ti hanno trattato come un pellaro perfino al giorno prima, solo perchè la domenica piuttosto che l'uscita ludica preferisci il sangue della competizione, svaniscono nel nulla... o più probabilmente si nascondono dietro a cosci di tacchino e grattacieli di lasagne. E' tutta colpa tua se non sei un amante dell'abbuffata natalizia.

Di colpo scopri che il freddo e il vento di dicembre non incentivano più di tanto l'espressione del tuo lato agonistico e che più si adattano alla pratica del restare sotto le coperte fin quando non vengono le piaghe da decubito.

Ma tu sei un vero atleta, la cui convinzione è ferma e la cui tenacia ha la consistenza del marmo. Esci comunque, salti in sella alla bici in compagnia della pochissima voglia di faticare che ancora ti è rimasta, e dell'unica persona che come te cerca di non cedere al virus delle festività che fa strage di colleghi attraverso torroni, cappelletti e panettoni.

Per strada è il deserto assoluto, che in confronto la tundra siberiana sembra New York all'ora di punta.

E nell'aria uno strano profumo si spande e pervade ripetutamente le tue narici: è l'arrosto che cuoce lentamente nelle case delle famiglie italiane. E d'istinto infili la mano nella tasca posteriore: merda...ho dimenticato pure la barretta.

Ma i veri campioni non si scoraggiano facilmente, si fanno forza gli uni con gli altri: "Senti, ma... visto che siamo usciti pure ieri anche se facciamo il giro quello corto mica succede niente?!"

Sono parole che riscaldano il cuore, un pò meno tutto il resto. Perchè se è vero che ormai si è deciso di dare una decisa smussata al kilometraggio profetizzato in partenza, il pacchetto martirio è ancora comprensivo di: piedi dove il sangue ha deciso di non scorrere più, orecchie divenute delle appendici inutili e insensibili al tatto, mani che non hanno motivo di esistere visto che cambiar marcia è talmente faticoso da invocare la telecinesi. Per le donne si aggiunge pure il fattore chiappe gelate, immancabile caratteristica del mondo in rosa.

Al ritorno, non esiste lasso di tempo calcolabile tra il parcheggiare la bici nel fondo e domandare alla propria locandiera cosa c’è per pranzo. Sotto la doccia si diviene protagonisti di un momento di catarsi durante il quale ci si sente veramente in pace con se stessi: unici veri eroi delle due ruote che non mollano mai. Ci si convince che le fatiche patite in questi pochi giorni troveranno la giusta ricompensa nel ritrovare i propri avversari fuori forma. Sbagliato. Gennaio, prima gara: non solo stanno alla grande, ma vanno ancora più forte di prima. Se ne deduce che: primo, quelle madri di famiglia hanno condito gli arrosti con eritropoietina al posto di olio e rosmarino e secondo che attorno a quelle tavole imbandite al posto delle sedie stavano tutti seduti su bici fissate ai rulli.

1 commento:

Permaz ha detto...

Come al solito le osservazioni di questa mia sorellina sono quanto di più arguto possa esistere! Faccio presente che io faccio parte di quei pochi sparuti esemplari che popolano la fauna desertica da lei menzionata.